26 novembre 2013

L’importanza del riccio, di Giulio Terrinoni...


...ovvero, come un libro è in grado di  annullare il tempo durante un viaggio in treno tra Roma e Milano.


Quasi come un segno del destino, la copia del libro mi arrivò la sera prima di un mio viaggio di lavoro a Milano, a riprova del fatto che, benché sovente beffardo, il destino sa anche essere benevolo.

La sera prima avevo avuto al fortuna di assistere alla presentazione del libro dello Chef Giulio Terrinoni, mio nume gastronomico, presso Coquis -Ateneno Italiano della Cucina, che per chi ancora non lo sapesse - e qui mi lancio con piena consapevolezza in una argomentazione ab absurdo - è un luogo di celebrazione e di insegnamento dell’arte gastronomica.

Durante la presentazione, da me vissuta come un adolescente che va al primo concerto del suo cantante preferito (no, non temete, la biancheria intima l’ho tenuta al suo posto), avevo avuto il chiaro sentore che avevamo a che fare con un libro diverso: non la solita raccolta di ricette-che-ognuno-può-fare-ma-che-se-poi-le-fa-vengono-una-chiavica, ma un Libro, con la “L” maiuscola, che racconta, che narra, che fa sognare, che ci rende parte di un percorso, quello di Giulio, che l’ha portato ad essere ciò che oggi è: l’Executive Chef del Ristorante Acquolina, un posto stellato (nel senso della Guida Michelin) dove non si va a mangiare, ma a vivere un’esperienza gastronomica, un olismo che trascende il mero elenco delle portate e ci dona invece un unicum indivisibile, dove ogni singolo ingranaggio sta dove deve stare e dal quale si esce in una sorta di nirvana gastronomico.

Comunque, tornando a bomba, dicevo che già la presentazione lasciava presagire il trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo, qualcosa che però, lì e allora, non avevo apprezzato appieno, complice anche un mega-calice di spumante che mi ero trovato in mano alla fine della presentazione e che aveva prodotto in me effetti paragonabili a quelli del tristemente noto Rohypnol: perché ero lì ? Come ci ero arrivato ? Chi ero ? Dove andavo ? Da dove venivo ? Cosa era successo ? Ero solo nell’universo ? Un governo stabile sarebbe mai stato possibile ? Esiste una vita dove io sia un uomo magro ? Insomma, le mie già scarse capacità cognitive volgevano al definitivo spegnimento.

Tornato a casa, con la simpatica prospettiva di svegliarmi alle 5 del mattino per prendere il treno, lasciai il libro in ingresso, ripromettendovi di leggermelo nelle tre ore di viaggio tra la Roma fancazzista e la Milano operosa (perdonatemi, ma ogni tanto mi scappa un bisogno fisiologico di luoghi comuni).

Morfeo, bontà sua, mi accolse rapidamente (credo anche con la complicità di Bacco) e la mattina dopo, al dolce suono della sveglietta, con tutta la famiglia che beatamente dormiva, mi dedicai alle abluzioni; indossai il completino da lavoro; bevvi il Nespresso di intensità un milione, sperando nelle doti miracolose della caffeina; chiamai il Taxi; feci le solite chiacchiere di prammatica con il tassista, con spregiudicate affermazioni del tipo “certo che il freddo è proprio arrivato”; “Roma a quest’ora è bellissima”“ma chi glielo fa fare di fare footing a quest’ora”; arrivai alla stazione (“la stazione Termini a quest’ora è bellissima”, pensai tra me e me, prendendo chiaramente atto dell’inefficacia del caffè di intensità un milione); salii sul treno; sistemai tutte le mie cosine; feci il cavaliere quel tanto che bastava: “Signora, lasci che l’aiuti, dia a me la valigia”, salvo poi trattenermi a stento dal chiederle “è un lavoro interessante quello del rappresentante di pesi da sub ?”.

“Il treno Frecciarossa 9602 è in partenza. Gli accompagnatori sono pregati di scendere dal treno”. Accompagnatori !? Alle 6 del mattino !? Cos’è , la sagra dell’ironia provocatoria ?

Il treno si mosse e io, finalmente, aprii il libro...

Qui la sceneggiatura prevede il cambio di tempo verbale, dal passato remoto al presente, per condividere con voi ciò che ho letto.

Prima cosa fondamentale: l’importanza del riccio è un libro e non un ricettario - ma questo ve lo avevo già detto - un libro che ci racconta la storia di Giulio Terrinoni, una storia fatta di piccoli ma importanti momenti, dalla sua illuminazione sulla via, non di Damasco, ma di Fiuggi; del suo abbandonare la scuola tradizionale per entrare in quella alberghiera, inizialmente mosso da una sorta di voglia di pigrizia, ma poi, appunto, rapidamente illuminato; dalle sue esperienze, prima nei grandi alberghi e poi nei ristoranti, a partire da  quello di Antonio Ciminelli, passando per il Panda di Roma, per arrivare infine, a coronamento del suo percorso, almeno di quello fatto fino ad oggi, all’Acquolina, grazie anche all’incontro con Angelo Troiani, altro luminare della ristorazione nonché celebrato e stellato Executive Chef del Ristorante Il Convivio e fondatore, insieme ai suoi fratelli, del già citato Coquis.

E’ un libro che ci racconta piccoli spaccati di vita, che consentono a Giulio di portarci a conoscere il suo modo di cucinare; il suo innamoramento per il pesce, che rispetta anche nella scelta di una specie piuttosto che un’altra; la sua visione di menù, che privilegia ciò che si trova giorno per giorno - il suo motto, o meglio quello che ha fatto suo dopo averlo sentito da un pescatore di Anzio, è che “al mare non si fa la spesa, al mare si pesca” - a dire che la vera cucina di pesce è fatta sulla base di quello che si trova sui banchi, senza troppa pianificazione e senza inseguire le mode del momento.

E’ un libro che ci rende partecipi della volontà di Giulio di “portare la terra al mare”, una sorta di inno sull’importanza di coniugare, nei piatti, due realtà che solo apparentemente sono distanti.

E’ un libro che scorre veloce, con tre bellissime prefazioni, a partire da quella di Arianna Saraceni, massima esperta di ricci di mare, che raccoglie personalmente e distribuisce tra i pochi fortunati, passando per quella di Antonio Ciminelli, che come già detto segna il passaggio di Giulio dal mondo alberghiero a quello della ristorazione gourmet, finendo con quella di Giuliano Capecelatro, anche lui scrittore.

E’ un libro con il quale Giulio ci porta per mano lungo un percorso ideale, che ci racconta come si svolge la giornata di uno Chef, dal rito della spesa, l’unica cosa che non ha mai delegato ad altri, alla discussione con il suo team su cosa preparare con ciò che la spesa ha portato; dalla sua concezione del ristorante, inteso come ambiente che accoglie e di come l’ospite deve essere, appunto, accolto e servito.

E’ un libro dove le pagine si sfogliano con estrema piacevolezza, dove la prosa è diretta, ma che proprio per questo comunica in modo perfetto ciò che Giulio vuole condividere con il lettore. Una prosa assolutamente in linea con la sua visione di cucina, di grande cucina. Una prosa che ti fa sentire Giulio uno di noi, quasi a volerti far credere che ciò che ha fatto lui lo possa fare chiunque.

E’ un libro dal quale traspare in modo prorompente una voglia continua di ricerca e di studio, una apertura a tutti i tipi di cucina, che per Giulio sono fonte di ispirazione e non di confronto, di competizione. Una ricerca che è parte integrante e indissolubile della concezione che Giulio ha di essere un grande cuoco.

E’ un libro dove, alla fine, ci sono anche le ricette, con buona pace di chi le reputa parte imprescindibile in qualsiasi libro di cucina. Non so perché, ma ho quasi il dubbio che Giulio le abbia messe perché, se non lo avesse fatto, qualcuno avrebbe potuto considerare il libro incompleto. Ricette che, peraltro, sono quelle di alcuni piatti che Giulio serve nel proprio ristorante, a dimostrazione di quanto in lui sia forte la voglia di condividere, piuttosto che di proteggere.

E’ un libro che ho divorato avidamente, ben prima di arrivare a Milano e l’unica colpa che mi sento di attribuire a Giulio è quella di non avermi dato tempo di recuperare il sonno interrotto sulle comode poltrone del Frecciarossa.

Che dire, arrivato a Milano ho dovuto mio malgrado riprendere contatto con la realtà, pensando tra me e me che se dovessi descrivere a qualcuno il carattere di Giulio, che ho avuto la fortuna di conoscere di persona, direi, rubando un termine a mio figlio, “sciallo”, termine al quale associo una valenza assolutamente positiva, per indicare un carattere improntato all’apertura, alla condivisione, alla trasparenza della passione, alla voglia di comunicarla, senza quell’atteggiamento elitario che, ahimé, si trova spesso altrove.

2 commenti:

  1. lo sto leggendo anche io e l'unica cosa che mi permetto di aggiungere (visto che condivido tutto il resto che hai già descritto molto bene) è che si legge con un grande sorriso, lo stesso che è stampato sul viso di Giulio in copertina!!!

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    1. Hai proprio ragione, Daniela, si legge con un sorriso ed è un libro che trasmette allegria, proprio come Giulio. Ciao

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